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Tutta la vita qui è uno stadio o una circostanza in un’evoluzione progressiva, che si svela, di uno Spirito che si è involuto nella Materia e sta lavorando per manifestarsi in questa sostanza riluttante. Questo è l’intero segreto dell’esistenza terrestre.
Ma la chiave di questo segreto non dev’essere cercata nella vita stessa o nel corpo; il suo geroglifico non è nell’embrione o nell’organismo, poiché questi sono solo un mezzo o una base fisica: l’unico mistero significativo di questo universo è l’apparizione e la crescita della coscienza nella vasta e muta ottusità della Materia.
La fuga della Coscienza da un’apparente Incoscienza iniziale – ma era lì da sempre mascherata e latente, poiché l’incoscienza della Materia è essa stessa solo una coscienza incappucciata – la sua lotta per trovare se stessa, la sua estensione verso la propria inerente completezza, perfezione, gioia, luce, forza, padronanza, armonia, libertà, questo è il miracolo prolungato e il fenomeno onni-esplicativo di cui siamo contemporaneamente gli osservatori ed una parte, strumento e veicolo.
Una Coscienza, un Essere, un Potere, una Gioia era qui dall’inizio, oscuramente imprigionata in questa apparente negazione di se stessa, questa notte originaria, questa oscurità e nescienza della Natura materiale. Ciò che è ed era nei secoli, libero, perfetto, eterno ed infinito, Ciò che ogni cosa è, Ciò che chiamiamo Dio, Brahman, Spirito, si è rinchiuso qui nel proprio opposto auto-creato.
L’Onnisciente si è tuffato nella Nescienza, l’Onnicosciente nell’Incoscienza, l’Onnisaggezza nella perpetua Ignoranza.
L’Onnipotente ha formulato se stesso in una vasta Inerzia cosmica auto-comandata che crea per mezzo della disintegrazione; l’Infinito è qui auto-espresso in una frammentazione senza limiti; il Tutto-Beatitudine ha indossato un’enorme insensibilità fuori dalla quale lotta con dolore, fame, desiderio e sofferenza.
Il Divino è altrove; qui nella vita fisica, in questo oscuro mondo materiale, sembrerebbe quasi che il Divino non ci sia ma stia solo divenendo, Theos ouk estin alla gignetai [=”Dio non è ma diviene”, ndr].
Questo graduale divenire del Divino fuori dai propri opposti fenomenici è il significato e lo scopo dell’evoluzione terrestre.
L’evoluzione nella sua essenza non è lo sviluppo di un corpo sempre più organizzato o di una vita sempre più efficiente – questi sono solo il suo meccanismo e la circostanza esteriore.
L’evoluzione è la lotta di una Coscienza resa sonnambula nella Materia per destarsi ed essere libera e trovare e possedere se stessa e tutte le proprie possibilità sino al limite estremo e più vasto, all’ultimo e più elevato.
L’evoluzione è l’emancipazione di un’Anima auto-rivelatrice segreta nella Forma e nella Forza, il lento divenire di una Divinità, la crescita di uno Spirito.
In questa evoluzione l’uomo mentale non è la meta e il fine, il valore di completamento, l’ultimo significato più elevato; è troppo piccolo ed imperfetto per essere la corona di tutto questo travaglio della Natura.
L’uomo non è la conclusione, ma solo un mezzo termine, un essere di transizione, una creatura strumentale intermedia.
Questo carattere dell’evoluzione e questa posizione mediana dell’uomo non sono evidenti all’inizio; poiché per l’occhio esteriore sembrerebbe che l’evoluzione, almeno l’evoluzione fisica, sia finita molto tempo fa lasciandosi dietro l’uomo come il suo povero miglior risultato e che non si debba più attendere alcun nuovo essere o creazione superiore. Ma questo ci appare solo finché guardiamo esclusivamente le forme e all’esterno anziché i significati interiori dell’intero processo.
La materia, il corpo, anche la vita sono i primi termini necessari per il lavoro che doveva essere compiuto. Può darsi che nuove forme viventi non stiano più per apparire liberamente, ma questo succede perché la Forza d’evoluzione non è, o almeno non è principalmente, occupata ad evolvere nuove forme viventi, ma nuovi poteri di coscienza.
Quando la Natura, il Potere Divino, ebbe formato un corpo eretto e dotato del potere di pensare, progettare, indagare in se stesso e nelle cose e di lavorare coscientemente in entrambi, essa ottenne ciò che voleva per il suo scopo segreto; relegando tutto il resto alla sfera dei movimenti secondari, lei volse verso quel fine a lungo celato le sue principali forze più elevate.
Poiché tutto, fino ad allora, fu una lunga e strenuamente lenta preparazione; ma, per tutto il tempo, lo sviluppo della coscienza, in cui l’apparizione dell’uomo fu il punto di svolta cruciale, era stato tenuto coperto dentro di lei come suo ultimo lavoro e vero scopo.
Questa lenta preparazione della Natura richiese immensi eoni di tempo ed infinità di spazio in cui questi ultimi sembravano essere la sua unica occupazione; il vero compito colpisce il nostro sguardo, almeno quando guardiamo con l’occhio esteriore della ragione come se giungesse solo quale incidente fortuito alla fine o vicino alla fine del percorso evolutivo, per un breve spazio di tempo e in un granello ed un angolo difficilmente visibile di una delle province più piccole di un universo forse minore tra questi molteplici finiti senza limiti, questi innumerevoli universi.
Se fosse così, potremmo ancora replicare che il tempo e lo spazio non importano all’Infinito e all’Eterno; non è uno spreco di lavoro per Quello – come sarebbe per le nostre brevi esistenze pilotate dalla morte – lavorare per trilioni di anni per fiorire solo un momento.
Ma anche questo paradosso è solo un’apparenza – poiché la storia di questa unica terra non è tutta la storia dell’evoluzione – ci sono altre terre anche ora altrove, e anche qui parecchi cicli terrestri vennero prima di noi, e molti sono quelli che verranno in seguito.
La natura lavorò innumerevoli milioni di anni per creare un universo materiale di soli e sistemi fiammeggianti; per un’inferiore ma tuttavia interminabile serie di milioni d’anni, essa si adoperò per rendere questa terra un pianeta abitabile.
Per tutto quel tempo incalcolabile essa era o sembrava occupata solo all’evoluzione della Materia; la vita e la mente erano tenute segrete in un’apparente non-esistenza.
Ma venne il tempo in cui la vita poté manifestarsi, una vibrazione nel metallo, una crescita e una ricerca, un ritirarsi ed una percezione esterna nella pianta, una forza ed una sensorialità istintiva, un legame di gioia e sofferenza, fame ed emozione, paura e lotta nell’animale – una prima coscienza organizzata, l’inizio del miracolo da lungo tempo progettato.
Da lì in poi essa non era più occupata esclusivamente con la materia per se stessa, ma perlopiù con la palpitante materia plasmatica utile per l’espressione della vita; l’evoluzione della vita era ora il suo unico ardente scopo.
E anche la mente con lentezza si manifestò nella vita, un percepire intensamente, una mente vitale che pensa e progetta rozzamente nell’animale ma nell’uomo come piena organizzazione e apparato, l’essere mentale che si sviluppa seppur ancora imperfetto, il Manu, la creatura che pensa, inventa, aspira, già auto-cosciente.
E da quel momento in poi la crescita della mente piuttosto che qualsiasi cambiamento radicale della vita divenne la sua brillante preoccupazione, la sua scommessa meravigliosa.
Il corpo sembrò non evolvere più; la vita stessa si trasformò poco o solo quel tanto, nei suoi cicli, che sarebbe servito ad esprimere l’elevazione e l’allargamento della Mente stessa nel corpo vivente; un’evoluzione interiore non vista era ora la grande passione e lo scopo della natura.
E se la Mente fosse tutto quello che la coscienza può conseguire, se la Mente fosse la Divinità segreta, se non vi fosse nulla di più elevato, di più vasto, sfere più miracolose, si potrebbe lasciare l’uomo a completare la mente ed il proprio essere, e qui non vi sarebbe né sarebbe necessario nulla aldilà di lui, che porti la coscienza alle proprie sommità, estendendola alle proprie vastità senza muri, immergendosi con essa in profondità insondabili; egli consumerebbe la Natura perfezionando se stesso.
L’evoluzione finirebbe in un Dio – Uomo, corona dei cicli terrestri.
Ma la Mente non è tutto; poiché aldilà della mente si trova una coscienza più grande; c’è una supermente e uno spirito. Come la Natura lavorò nell’animale, l’essere vitale, finché riuscì a manifestare da esso l’uomo, il Manu, il pensatore, così sta lavorando nell’uomo, l’essere mentale, finché riesca a manifestare da lui una divinità spirituale e sovramentale, il Veggente cosciente della verità, il conoscitore per identità, il Trascendentale ed Universale incarnati nella natura individuale.
Dall’argilla ed il metallo alla pianta, dalla pianta all’animale, dall’animale all’uomo, tanto essa ha compiuto del proprio viaggio; un’estensione immensa o un balzo stupendo rimane ancora davanti a lei come dalla materia alla vita, dalla vita alla mente, così ora lei deve passare dalla mente alla supermente, dall’uomo al superuomo; questo è l’abisso su cui essa deve costruire un ponte, il miracolo supremo che deve compiere prima che possa riposare dalla sua lotta e scontentezza e trovarsi nella radiosità di quella suprema coscienza, glorificata, trasmutata, soddisfatta del suo lavoro.
Una volta, qui il subumano era il massimo in lei, l’umano che l’ha sostituito cammina ora davanti al Tempo, ma tuttavia, scopo e meta del futuro, attende il sovramentale, il superuomo, una gloria non nata ancora da realizzare davanti a lei.
Sri Aurobindo
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[Questo saggio è stato scritto intorno al 1930, pubblicato nel Bollettino dell’Ashram di Pondicherry nel novembre 1976, come il primo di due testi dal titolo «NAMASTE»]
Traduzione di M. Furru e G. Elia [fonte: linuxmagic1969.wordpress.com]