Lo sviluppo dell’intelletto scientifico moderno è stato un risultato notevole; eppure sembra ora evidente, a giudicare dai fatti reali che riguardano la nostra società e la nostra cultura, che questo risultato è stato acquistato ad un costo tragicamente alto. Ciò che serve è un radicale riorientamento della mente collettiva dell’umanità, lontano dalla quantità e verso la qualità.
Dane Rudhyar
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Come ho già affermato, la coscienza nel senso più ampio del termine, intesa in particolare nelle filosofie asiatiche, esiste ovunque il Principio di Integrità operi nell’universo. C’è coscienza non solo negli animali e nelle piante, ma anche, in una forma più rudimentale, nelle molecole e negli atomi. Il filosofo, poeta, veggente e yogi indù Sri Aurobindo affermava di poter sentire e sperimentare un oceano di coscienza che lo avvolgeva e pervadeva l’intero universo. Ogni insieme esistenziale è in grado di assorbire, assimilare e focalizzare in espressione solo un aspetto di questa coscienza cosmica diffusa; lo fa secondo la capacità specifica del suo sistema di esistenza.
Nelle piante, la coscienza è presumibilmente ciò che descriviamo come “senzienza”, una capacità di reagire agli stimoli e a certe situazioni ambientali – quindi (secondo recenti esperimenti) di provare dolore, angoscia e simpatia per gli altri organismi viventi. Tuttavia, un tale tipo di coscienza vegetale, e molto probabilmente la coscienza esistente negli animali in un ambiente naturale selvaggio, non dovrebbe essere chiamata coscienza oggettiva – almeno non come intendiamo il termine in senso intellettuale. La pianta cresce, e foglie e fiori prendono forma secondo quelle che chiamiamo leggi armoniche, la proporzione della regola d’oro, e così via; ma la pianta non “misura” con nessun tipo di righello i luoghi esatti in cui le foglie o i fiori, gli stami, devono apparire. Si producono bellissimi disegni geometrici, ma probabilmente non con l’estrema precisione che gli ingegneri moderni richiedono nella costruzione di strumenti elettronici molto complessi. Qualcosa sta agendo all’interno della pianta, e non c’è ragione logica per non parlare di una “mente” al lavoro; ma non è la mente dell’uomo che misura le traiettorie delle particelle negli strumenti usati nella fisica atomica, o anche la mente di un automobilista che consulta il suo tachimetro e il suo orologio da polso.
L’attività dell’intelletto oggettivo e analitico dell’uomo moderno è essenzialmente un’attività di misura. Viviamo in una società che è orientata principalmente verso la quantità perché questa società ha focalizzato la parte più evoluta della sua mentalità collettiva sullo sviluppo e sull’estremo perfezionamento delle sue facoltà analitiche e concettuali. Se mai una società futura, come risultato di una varietà di eventi traumatici e catartici, dovesse sentire che la nostra attuale enfasi sull’intelletto analitico e sui suoi metodi di misurazione quantitativa non è sana e deve essere drasticamente declassata in modo da permettere lo sviluppo e la maturazione di un altro tipo di mentalità, è evidente che l’orientamento di questa società futura sarebbe del tutto alterato. Questa è infatti la questione cruciale che l’umanità dovrà affrontare nei decenni a venire.
Ciò non significa che le misurazioni di tutti i tipi cesserebbero di essere necessarie. In un’area molto vasta dell’attività umana quotidiana, la dipendenza dalle misure e dagli standard di misurazione rimarrà inevitabile. Nessuno nei suoi sensi vorrebbe rinunciare a tutte le forme di tecnologia; e la tecnologia si basa su misure e standard quantitativi di valore.
Lo sviluppo dell’intelletto scientifico moderno è stato un risultato notevole; eppure sembra ora evidente, a giudicare dai fatti reali che riguardano la nostra società e la nostra cultura, che questo risultato è stato acquistato ad un costo tragicamente alto. Ciò che serve è un radicale riorientamento della mente collettiva dell’umanità, lontano dalla quantità e verso la qualità.
Questo riorientamento non può operare in un solo campo di attività, diciamo nella scienza e nell’industria. Deve interessare ogni campo. La nostra economia e la nostra politica devono essere sicuramente rivalutate e, almeno in alcuni dei loro aspetti, rivoluzionate. Ma un tale riorientamento e una tale rivoluzione non possono che essere superficiali e impermanenti – o addirittura portare a risultati forse peggiori – se l’umanità non sperimenta al tempo stesso una rivoluzione della coscienza.
I primi pionieri di una tale rivoluzione della coscienza sono già arrivati, e molti, molti altri stanno apparendo. Purtroppo, sembra esserci una tendenza inevitabile nella mente umana a reagire contro un estremo sostenendo emotivamente l’estremo opposto. È quindi essenziale cercare di raggiungere una consapevolezza oggettiva del processo di evoluzione dell’uomo come un insieme ciclico, in cui ai periodi di enfasi in una direzione si succedono periodi di enfasi in altre direzioni – il che non deve necessariamente significare, necessariamente, nella direzione esattamente opposta. I giudizi e le decisioni in bianco e nero possono dover essere presi in momenti di grande urgenza, ma non sono mai veramente soddisfacenti, solo perché implicano una polarizzazione troppo forte e oscillazioni troppo emotive tra estremi opposti.
Quantità e qualità non sono da considerare come opposti che si escludono a vicenda, non più dell’individualismo e del socialismo, della democrazia e dell’olarchia, della libera impresa e della pianificazione collettiva – e, metafisicamente parlando, della molteplicità e dell’unità, della materia e dello spirito.
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Dane Rudhyar
Riflessioni tratte dal libro Possiamo Ricominciare Insieme (1970),
tradotto in italiano dal Gruppo Altrove