Esistono movimenti profondi (istinti di preservazione ignoti al sapere dell’uomo ordinario) che in modo sottile si oppongono al cambiamento e che hanno a che fare con il funzionamento meccanico della nostra mente, delle nostre emozioni e del nostro corpo.
Attraverso il principio di Polarità questi movimenti si alternano tra due estremi, oscillando tra tensione e rilassamento, negativo e positivo, sì e no, conflitto e pace, elettrico e magnetico, bene e male, e trovano un preciso ordine in ogni possibile processo evolutivo della vita e dunque individuabili anche nella nostra natura mentale, psichica e fisica quali piacere-dispiacere e sicurezza-insicurezza.
Ci sono situazioni dove riconosciamo che è utile, giusto, necessario, vantaggioso e addirittura conveniente cambiare, ma poi nonostante tutto rimaniamo fermi dove siamo. Perché restiamo fermi nonostante dentro di noi siamo maturi e consapevoli di dover voltare pagina, di dovere lasciare andare, di poter mollare la presa e smettere di ostinarci per far spazio in noi e rinascere al nuovo?
Parliamo del piacere. Non cambiamo perché, seppur ci lamentiamo, dove siamo in fondo stiamo bene, o almeno abbiamo l’idea che rimanendo così come siamo staremo bene. Ci sono persone che paradossalmente stanno bene (o che idealizzano per convenzione al conformismo di stare bene) nonostante i loro schemi ripetitivi, gli irrisolti, i problemi, i conflitti, le malattie, le palesi situazioni negative e le evidenti e difficili condizioni di vita; razionalmente riconoscono che dovrebbero cambiare qualcosa di se stesse e della propria vita per uscire da questi labirinti emotivi negativi, pur tuttavia restando ferme sorrette dalla vana speranza che prima o poi qualcosa cambi o che qualcuno li aiuti a cambiare. Lo stesso possiamo dire per coloro che si adoperano intenzionalmente per cambiare se stessi impegnandosi in uno dei tanti percorsi di crescita personale, eppure senza mai essere disposti a lasciare andare le proprie convinzioni e le proprie credenze pagando il giusto prezzo per rinascere al nuovo; azione questa indispensabile per un concreto e reale cambiamento.
Lasciare andare è innanzitutto far morire le convinzioni e le credenze strutturate nella nostra personalità di superficie, che equivale a trasformare, esperienza dopo esperienza, l’idea illusoria che si ha di sé (ego).
Altra difficoltà che impedisce il cambiamento è il bisogno di sicurezza.
Rimaniamo nel conosciuto perché nonostante la costante insoddisfazione interiore e le difficoltà a cui siamo chiamati, in fondo ci sentiamo sicuri, poiché cambiare equivale a sganciarsi da questa pseudo sicurezza e sperimentare l’ignoto per avventurarsi su una strada ove immancabilmente vengono a mancare uno dopo l’altro tutti i vecchi punti di riferimento e la sicurezza ad essi associata: convinzioni, credenze, appartenenza, partner, amici, famiglia, lavoro, casa.
In parole semplici abbiamo paura di cambiare perché ci sentiamo più sicuri così come siamo e dove siamo, anche se questa sicurezza, palesemente irragionevole, si rivela spesso negazione di sé, sofferenza, dolore, tristezza, patologia e motivo di costante limitazione della nostra essenzialità. Una relazione disarmonica, un lavoro professionale in cui non ci riconosciamo, un mestiere che non sentiamo essere creativo e soddisfacente, una scuola che non ci piace, una famiglia restrittiva e soffocante, un luogo dove non ci sentiamo a casa, sono tutti buoni motivi che ci richiamano al cambiamento e denotano sempre una soffocata e costante richiesta della nostra Essenza.
La ricerca di sicurezza e del piacere sono movimenti profondi (emotivi-istintivi) presenti in noi si dalla nascita e che nel corso della vita si rivestono, per auto perpetrarsi, di tutti gli schemi comportamentali strutturati nel tempo dalle inclinazioni caratteriali e personali, a loro volta influenzati dalle credenze e dalla morale familiare e collettiva. Questi movimenti, forze della natura preposti alla conservazione del ritmo stesso della vita, se non ignorati e adeguatamente conosciuti, per natura frenano o impediscono ogni forma di cambiamento, anche quando questi naturali processi sono estremamente necessari. In modo semplice, seppur improprio, stiamo parlando della natura ordinaria umana (sé inferiore), rigida e fissa nella sua idea di consapevolezza – lei non sa chi sono io, tesa a mantenere vive, per assenza di umiltà, le proprie erronee convinzioni e le corrispondenti idee di superiorità; l’animale pensante per intenderci.
Il giudizio e la lamentela, strumenti molto affini all’ansia e alla paura, sono veri e propri baluardi che si oppongono al cambiamento, e sono il risultato dell’idea di perfezione e di supremazia che rivolge l’attenzione dell’uomo ordinario, sconnesso dalla realtà, totalmente verso l’esterno e non più all’interno di sé.
Ignorare la nostra natura essenziale crea una separazione, un abisso, che sperimentiamo in questo momento storico come carenza ontica, che si traduce emozionalmente in ciò che sentiamo come separazione e sofferenza. Per questo, e per molti altri motivi, si rimane dove si è lamentandosi attraverso innumerevoli spiegazioni, piuttosto che intraprendere un vero e reale percorso di autoconoscenza di sé e seguire il flusso evolutivo della vita accettando che, al di là delle convinzioni e delle proprie idee, questo possa rivelarsi privo di sicurezza e spesso anche di ciò che siamo abituati a sentire come piacevole.
Tuttavia non seguire il flusso evolutivo della vita equivale e perdere quella flessibilità che ci conduce proprio attraverso l’esperienza che la vita offre nel morire consapevolmente e che la morte, a sua volta, offre nel vivere pienamente.
Tutto ciò che muore si trasforma in qualcos’altro e tutto ciò che vive, per trasformarsi, necessita di morire.
Nonostante si creda che la morte sia la fine di tutto, posso dire per esperienza che la morte è sempre l’inizio di qualcos’altro: tutto si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Arrendersi al cambiamento significa morire a quello che si è o che si crede nell’illusione e nel sonno della Cosxienza di essere.
Morire cosxientemente è un arte, è l’arte dei giusti e dei folli e di colui che conoscendo se stesso si affida arrendendosi, non più a ciò che crede di sapere o alle convenzioni a cui per ignoranza si asserve, ma semplicemente a ciò che è.
L’invito resta quindi rivolto a chi desidera concedersi la possibilità di un nuovo inizio per lavorare al proprio cambiamento interiore e di riflesso modellare cosxientemente il proprio mondo esteriore.
Ciascuno, indistintamente, ha la forza e la capacità di morire per rinascere. Tutto è nelle vostre mani.
Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri, mulini a vento.
Ho detto
Janus Lux
Hermes
Questo brano è stato letto nel corso della trasmissione “Gli Altronauti” su Radio Cooperativa (92.7 Mhz) del 1° giugno 2018, nella prima puntata dedicata alla rubrica “Rinascere”.