Per farsi coraggio, basterebbe pensare che quando l’ora è sonata — cioè che quando il carbone è finito nella perfezionata carcassa che è gran parte di noi stessi — il morire è cosa così semplice che tutte le creature della terra lo fanno senza protestare. Muoiono piante, animali, minerali — muoiono milioni di uomini ogni ora, perché dovremmo aver paura di una cosa che è così facile e che ci annunzia semplicemente il compimento di una legge, l’unica legge eguale per tutti?
Io non ne stupisco: vi è in noi imperfetti una occulta, incosciente premonizione che il periodo posteriore al sonno della morte è più temibile della gelida e reumatica vecchiaia? È la paura di una disintegrazione anche del nucleo etereo che si chiama anima immortale? Non risponde la scienza officiale, mal rispondono, e disarmonicamente, le religioni (…).
Integrandosi nei poteri latenti, chi vede in sé, vede nel regno delle ombre. Il grano fruttifica e muore. Il chicco di grano è l’anima che ritenta la resurrezione e, appena la rugiada di un’aurora primaverile bacia la terra in cui è nascosto, germoglia — tutto ritorna così. Ritornano le rose e le viole, ritornano sull’orizzonte gli astri luminosi o scintillanti, ritornano gli uomini che hanno conservata integra la propria unità eterea; si disfanno i grani guasti, le rose senza polline, le viole divorate dai bachi e dai coleotteri.
Giuliano J. M. Kremmerz, La Porta Ermetica, 1910
In apertura: La morte appare durante un banchetto, di Giovanni Martinelli, 1635 (fonte)